Corte di cassazione penale
sentenza 3897/12 del 31/01/2012
Costituisce danno patrimoniale rilevante per il delitto di truffa anche il complessivo costo per le attività di autotutela anche giurisdizionale cui la pubblica amministrazione deve ricorrere in conseguenza di condotte riconducibili ad artifici e raggiri.
Cassazione penale, Sez. VI, sentenza del 31.1.2012, n. 3897
…omissis…
3. Il ricorso è fondato nei limiti e termini che seguono.
Il terzo motivo, in diritto ed in ipotesi assorbente, è manifestamente infondato, il che va fin d’ora precisato a beneficio del giudizio di rinvio cui occorre procedere. Come già argomentato da Sez.6, sent. 16669/2009, richiamata dal Tribunale, “l’art. 640 quater c.p., prevede il rinvio alle disposizioni dell’art. 322 ter c.p., “in quanto applicabili”. Ora, la nozione di “prezzo” del reato (individuato nel “compenso dato o promesso ad una determinata persona, come corrispettivo dell’esecuzione dell’illecito”, S.U. sent. 26654 del 27.3 – 2.7.2008) è richiamata nel primo comma dell’art. 322 ter c.p. come eventuale limite alla confiscabilità di beni del reo, con specifico richiamo ai delitti previsti dagli articoli da art. 314 c.p., a art. 320 c.p.; questi si caratterizzano strutturalmente per la utilizzazione o ricezione o promessa di denaro o cosa determinata o altra utilità da parte di soggetto “qualificato”. Quel limite non rileva invece quando sono considerate le possibili condotte del soggetto non qualificato, nel capoverso dell’art. 322 ter c.p., dove il parametro principale è solo quello del profitto. Poichè la struttura della fattispecie ex art. 640 ter c.p., è del tutto diversa da quella dei reati considerati nell’art. 322 ter c.p., comma 1, il richiamo che l’art. 640 quater opera all’art. 322 ter c.p., deve intendersi riferito all’ipotesi del capoverso, nella quale l’autore del reato risponde comunque con i propri beni per un valore corrispondente a quello del profitto, prescindendo dall’estraneità dei terzi al reato (già S.U. sent.
41936 del 25.10 – 22.11.2005, Muci, oltre ad affermare il principio dell’applicabilità del sequestro fino a concorrenza del profitto conseguito, nel caso di uno dei reati previsti dall’art. 640 quater c.p., aveva in motivazione evidenziato le stonature conseguenti all’estensione di una norma la cui struttura presupponeva la qualità di pubblico operatore e una fisiologica percezione di un quantum, quando non la commissione da parte sua di un illecito). Deve pertanto ritenersi sempre legittima la confisca dei beni di cui ha disponibilità l’autore di condotte sussumibili nell’art. 640 ter c.p. (e quindi legittimo il sequestro preventivo di tali beni, ad essa finalizzata) fino a concorrenza di un valore corrispondente al profitto, proprio, di concorrenti o di terzi, conseguito con tali condotte”.
Giudica il Collegio che il secondo motivo sia fondato.
Occorre muovere dalla prima ordinanza del Riesame, in data 16- 23.10.2010. In tale sede il Tribunale rigettò l’appello del pubblico ministero in ordine ai reati di truffa aggravata di cui ai capi provvisori 1 e 5 bis per due ragioni : la ritenuta assorbente questione di diritto sulla non configurabilità di un danno rilevante ai sensi dell’art. 640 c.p., “e comunque” (pag. 5) l’inesistenza allo stato di “elementi concreti” per sostenere la sussistenza di artifici e raggiri propri di un’azione simulata con l’intesa concordata di non adempiere le obbligazioni che venivano assunte (con affermazione per il vero presentata in modo obiettivamente assertivo).
La sentenza 10731/2011 di questa Corte ha annullato l’ordinanza 16- 23.10.2010 rilevando l’errore di diritto in cui il Tribunale era incorso, avendo escluso – già in astratto – che il dispendio sostenuto dal Comune di Benevento per le attività di autotutela anche giurisdizionale integrasse un danno patrimoniale configurabile in relazione alle condotte descritte nelle imputazioni provvisorie e, poi, escludendo – in termini di “qualificazione giuridica del fatto”^ la riconducibilità di tale specifico danno alle condotte descritte in epigrafe.
Coglie nel segno il ricorso laddove evidenzia che la Corte di cassazione ha quindi annullato su un principio di diritto che sostanzialmente si articolava su due passaggi: a) costituisce danno patrimoniale rilevante per il delitto di truffa anche il complessivo costo per le attività di autotutela anche giurisdizionale cui la pubblica amministrazione deve ricorrere in conseguenza di condotte riconducibili ad artifici e raggiri; b) le condotte descritte nei capi di imputazione provvisori dovevano essere considerate per sè compatibili ed idonee ad integrare quegli artifici e raggiri causalmente rilevanti.
Ciò che però la Corte di cassazione non ha detto, nè poteva dire trattandosi di apprezzamento di stretto merito, è che agli atti emergessero elementi di fatto congrui a configurare il “fumus” anche delle condotte descritte nei capi di imputazione provvisoria (Sez. 5^, sent. 24589/11; Sez. 3^, sent. 26197/2010; Sez. 1^, sent.
21736/2007; Sez. 6^, sent. 793/1999; ovviamente nei termini di cui a SU sent. 7/2000). Anche le successive incombenze già demandate dalla sentenza 10731/2011, sul punto della relazione tra beni di cui è chiesto il sequestro e reato, presuppongono la risoluzione della configurabilità di tale “fumus”.
Il primo motivo è assorbito.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuova deliberazione al Tribunale di Benevento.
Fonte di pubblicazione: overlex.com